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  • Immagine del redattoreMàdő

LE SCARPE FUORI DI CASA


di Domenico Pistillo

 

Quando i Màdő mi hanno chiesto se avessi voglia di lavorare su un racconto fotografico bianco e nero relativo le mie giornate di lavoro, non ci ho pensato due volte a dirgli di sì. Pur sapendo di non poter trarre ispirazione per “grandi” scatti dal periodo che stiamo vivendo, ho accettato, mi hanno convinto con il bianco e nero.


Sono trascorsi venti anni da quando ho abbandonato la stampa di provini in b/n scattati con la mia prima reflex: stampavo solo in b/n, forse perché faceva figo o forse perché il bianco e nero ha una sua magia, ti cattura l’anima.


Stiamo vivendo uno strano periodo e probabilmente questa è la tecnica che lo racconti al meglio.

Non vi nascondo che non so cosa sia la “quarantena”, a tratti ho provato una piccola invidia verso chi, in questi giorni, è riuscito a dedicarsi ai propri hobby, alla propria famiglia, grazie a questa insolita prigionia.

Io purtroppo no, non un giorno in casa, da quasi due mesi, tutti i giorni si inizia alle 8 e si finisce alle 20, forse.


Lavoro nello staff della direzione del Dipartimento di Prevenzione della ASL di Bari, ci occupiamo della sorveglianza epidemiologica dei casi COVID-19. Un immenso lavoro di controllo dei casi risultati positivi al virus, ricerca dei contatti stretti, tamponi a domicilio, misure di prevenzione per tutta la popolazione, gestione dei flussi informativi e tanto altro ancora.

Un lavoro costante e minuzioso alla 007, svolto su un territorio popolato da più di un milione di persone, tutto in emergenza e con le scarse risorse umane ed economiche che contraddistinguono la nostra sanità.


La giornata inizia con la distribuzione agli operatori dei pochi Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).


Le ormai famosissime mascherine, le tute, le visiere, poi si fanno i briefing (alla giusta distanza), sull'andamento dei casi e sulle criticità, le indagini epidemiologiche, la gestione dei casi focolaio, i tamponi e così via fino a sera quando si tirano le somme dei contagiati, di chi non ce l’ha fatta, di chi è guarito.


Arriva la sera ed è il momento di tornare a casa.

Quello che di giorno è un brulichio di persone distanti e in mascherina, rimane un edificio vuoto, con qualche segno di vita, le mie colleghe più strette, le ultime a lasciare l’edificio.


Mentre cammino, ascolto i passi che fanno eco, fuori dall'edificio un silenzio surreale che preme sui timpani. Persino le ambulanze si riposano in giardino per qualche ora.


L’auto che guarda un angolo di parcheggio abbandonato dove una Madonna prega per noi rispettando le regole di distanziamento sociale.


La stanchezza è tanta ma mi godo il momento della quiete, la città silenziosa e affascinante. Intravedo nelle case i preparativi per la cena.


C’è vita. In giro qualche anima con il proprio cane.


Mi sento come Diego Abbatantuono, in Eccezzziunale... veramente: «So' il re del quartiere, detengo il potere

È arrivata anche la primavera.


Finalmente a casa, tra bandiere dell’Italia e striscioni di speranza. Tutto andrà bene.


Non so come andrà a finire, nessuno realmente lo sa.

Ma io sono felice ugualmente perché il Coronavirus qualcosa di buono l’ha portata, le scarpe fuori di casa.


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